Ciò che si può rispondere a questa domanda, concisamente, è che:
1. Il Corano è la fonte più importante della religione ed è la prima risorsa per ottenere un’opinione religiosa.
2. L’utilizzo del Corano non ha valore tranne quando siano dimostrati due princìpi: l’autenticità dell’emissione e l’autenticità del significato.
3. I princìpi accettati dal giurisperito islamico nell’interpretazione del Corano si suddividono in: emissivi e significativi.
4. I princìpi emissivi del Corano sono:
a. Il Corano è stato rivelato da Dio.
b. Il Corano è immune da ogni tipo di alterazione, sia eccesso che carenza.
c. La rivelazione è immune dall’errore.
d. Il Profeta dell’Islam (A) era immune da ogni tipo di errore voluto e inconsapevole, sia nel ricevere la rivelazione che nella sua comunicazione.
5. I princìpi significativi del Corano sono:
a. Iddio ha inteso un determinato significato per le parole del Corano.
b. Nell’esposizione del significato divino (almeno nelle regole pratiche), non si è deviato dal metodo comune di spiegazione e procedimento razionale e non sono stati utilizzati codici segreti o metafore (incomprensibili).
c. Durante l’epoca della rivelazione dei versetti, sussisteva la base affinché gli individui razionali comprendessero il significato voluto dai versetti riguardanti questioni di giurisprudenza islamica.
d. Le regole divine sono universali e non si limitano a un caso o una determinata circostanza, eccetto che siano state annullate o venga dimostrata la loro mutabilità.
Dal punto di vista di tutte le scuole islamiche, il Corano è riconosciuto come la prima e più importante fonte nell’Islam. Inoltre tutti concordano e affermano che il Corano, miracolo vivente del grande Inviato (S) e custode dei libri celesti precedenti, è la fonte primaria della religione e il primo punto di riferimento per ottenere un’opinione religiosa.
In realtà con questo parere, nell’ambito dell’interpretazione del sacro Corano, si accettano due princìpi:
1. Il Corano è il documento divino e la prova di Dio per l’essere umano e tuttora ciò che è alla portata di tutti con il nome di “Corano”, è lo stesso Corano che fu rivelato da Dio e nessun’altra entità oltre Dio ha influito su di esso, né volontariamente né per errore; ovvero il Corano presente ha un’autenticità dell’emissione.
2. Il messaggio del Corano è accessibile e ci si può riferire ad esso per ottenere il parere della religione, ossia il Corano, oltre a un’autenticità dell’emissione, ha un’autenticità del significato.
Per questo motivo quando il giurisperito islamico stabilisce il Corano come fonte del proprio ijtihad e lo utilizza per arrivare alla regola giurisprudenziale islamica, prima di avvicinarsi al Corano, ha accettato un gruppo di princìpi dal punto di vista della sua emissione e un altro gruppo dal punto di vista del suo significato; poiché se accetta l’esistenza anche del più piccolo dubbio sull’emissione o significato del Corano, non potrà mai documentare la propria opinione con il Corano e la rivelazione, e neanche attribuire le regole, ricavate da esso, a Dio e alla Sua religione.
I princìpi emissivi sono:
1. Prima di tutto il giurisperito islamico accetta che il Corano è stato rivelato da Dio, l’Altissimo; poiché se così non fosse, non vi sarebbe motivo per il giurisperito islamico di fare riferimento ad esso per ottenere l’opinione religiosa. E quando si dice che il Corano è stato rivelato da Dio, s’intende che:
a. Il significato del Corano deriva da Dio.
b. Le singole parole e le frasi che si trovano nel Corano sono da Dio, cioè le parole, le frasi e i versetti appartengono alla rivelazione.
c. Il metodo con cui sono stati collocati i versetti uno accanto all’altro, in modo da formare le sure, insieme all’ordine delle sure, una accanto all’altra, che ha creato il Corano, appartiene alla rivelazione.
2. Il giurisperito islamico accetta che il Corano di oggi è lo stesso che c’era nell’epoca protoislamica e tutti i versetti di questa raccolta chiamata Corano, sono rivelazione divina, cioè a questa raccolta non è stato aggiunto né sottratto niente. Quindi il seguente principio può essere analizzato sia dal punto di vista dell’alterazione che quello dell’accettazione del Corano da parte dei musulmani in qualsiasi luogo o tempo.
3. Il giurisperito islamico accetta che la rivelazione è immune dall’errore, cioè questa conoscenza divina svelata con la rivelazione, è arrivata al grande Profeta (S) senza subire modifiche. La questione non è il fatto che il Profeta (S) non ha detto altro al di fuori di ciò che gli è stato rivelato, oppure che non ha sbagliato a ricevere la rivelazione, ma il fatto che non c’è stato errore nello scambio stesso della rivelazione tra la conoscenza divina e il Profeta (S).
4. Il giurisperito islamico accetta che il nobile Inviato dell’Islam (S) era immune da ogni tipo di errore consapevole o non, cioè oltre a non esserci stato errore nella rivelazione stessa, anche il Profeta (S), sia nel ricevere il Corano che nel manifestarlo, non ha commesso errori o dimenticanze.
I princìpi del suo significato sono:
1. Il giurisperito islamico si avvicina al Corano consapevole del fatto che Dio ha desiderato un determinato significato con le parole presenti nel Corano. Questo principio, anche se sembra palese, può essere oggetto di serie dispute da parte di alcune scuole di pensiero occidentali.
Alcuni intellettuali fautori dell’ermeneutica relativista dicono: “Quando viene dipinto un quadro, è possibile che alla sua vista voi diciate che il pittore ha espresso la propria tristezza, un altro dica che ha mostrato la propria felicità e infine un terzo si convinca che egli ha esposto la propria rabbia. Ora, se viene chiesto quale sia l’affermazione corretta, bisogna dire che tutte queste opinioni sono giuste e chiunque abbia ottenuto un qualsiasi significato da quel quadro, ha capito correttamente e ha ricavato un concetto accettabile”.
Quest’opinione in realtà vuol dire che questo quadro non ha un messaggio determinato affinché la comprensione di altri venga confrontata con esso. Egli ha dipinto una cosa senza un significato definitivo e chiunque esprima una qualsiasi interpretazione che concordi con la propria mentalità e la propria cultura, è giusta.
Quindi, ogni esegesi che si ottiene dai testi religiosi, è legata alla cultura specifica dell’esegeta e la comprensione religiosa è sempre una comprensione epocale e legata alla mentalità degli esegeti. A volte tra i sapienti islamici vige l’opinione che dietro ai versetti coranici non vi sia un determinato significato da ricercare e trovare, ma una vasta possibilità di comprensione, e chiunque, qualunque significato percepisca, sarà corretto.
Quindi il giurisperito islamico, nell’interpretazione del Corano, considera il principio che Dio ha voluto un determinato significato per i versetti coranici, un principio ovvio; infatti, il significato dell’estrarre le regole dal Corano è quello che il giurisperito islamico faccia il possibile per ottenere il significato che si cela nei versetti divini e che Dio ha cercato di trasmettere con queste parole e frasi. In questo modo prendono significato la ricompensa e l’errore nella comprensione del Corano e la frase: “Colui che ottiene il vero significato avrà due ricompense e chi sbaglia, una”[1].
2. Il sacro Corano nello spiegare l’intenzione divina (almeno nell’ambito delle regole pratiche e legate all’agire dei mukallaf[2]) non utilizza codici, ma il metodo comune delle persone razionali, ovvero Dio, nell’esporre le proprie intenzioni, ha scelto il metodo delle persone razionali.
Nella scienza degli Usul (princìpi di giurisprudenza islamica), riguardo all’autenticità del significato di esteriorità, si sostiene: “Le esteriorità delle parole sono hujjah (prove)”, ovvero ciò che si capisce dall’esteriorità del discorso dell’oratore, le persone razionali lo attribuiscono a lui. Però questa questione che connessione ha con il Legislatore (Dio)? Come si può attribuire questa regola concernente il discorso di Dio e con quale principio si può attribuire l’esteriorità del discorso di Dio a Lui? Questa affermazione è collegabile a Dio se accettiamo che Iddio, l’Altissimo, nel Corano, e il nobile Inviato dell’Islam (S) e gli infallibili Imam (A) hanno parlato come le persone razionali e non hanno fondato un nuovo modo di esprimersi. In linea generale l’applicazione delle regole colloquiali comuni ai discorsi del Legislatore è basata sull’accettazione del principio che anche il Legislatore ha parlato secondo il metodo delle persone razionali.
3. Durante l’epoca della rivelazione dei versetti sussisteva la base affinché le persone razionali capissero il significato determinato per i versetti divini (almeno nell’ambito delle regole giuridiche islamiche), cioè i versetti delle regole erano tali che la gente di quei giorni, con una comprensione corretta comune, poteva comprendere l’intenzione divina e capire il proprio dovere nella circostanza desiderata. E se alcuni non compresero il significato [divino], il motivo non era il principio della mancanza di base per capirlo e della cultura di quei giorni che non permetteva di ottenerlo, e col passare del tempo, il progresso delle scienze e la manifestazione di nuove comprensioni, è stato scoperto; bensì a causa del loro pensiero errato, hanno trascurato i significati [corretti] o li hanno malinterpretati. Per esempio a volte è accaduto che il tramandatore di hadìth, dopo aver riportato una tradizione dell’Imam (A), scrivesse anche il proprio parere personale; però il giurisperito islamico contemporaneo, da quell’hadìth, ha compreso diversamente e il suo parere è contrario a quello del tramandatore, quindi considera la propria opinione giusta e respinge quella del tramandatore. Adesso, se si volesse criticare questo giurisperito, poiché ha rifiutato il risultato del tramandatore che è stato ottenuto all’epoca dell‘hadìth dell’Infallibile (A), e lo ha sostituito con una nuova comprensione (nonostante il tempo passato); egli risponderebbe: “Questo significato che io ho capito dall’hadìth, anche a quel tempo era comprensibile e l’intenzione dell’Imam (A) per questo hadìth, a quel tempo, era questa. Però il tramandatore ha sbagliato e ha capito un significato diverso”.
Il giurisperito islamico non dice che ciò che si comprende oggi riguarda quest’epoca e che all’epoca della rivelazione dell’hadìth nelle menti delle persone razionali c’era un'altra comprensione. Egli non considera la propria comprensione sostituta di quella dei precedenti. Egli non crea una comprensione differente. Quando la sua comprensione è differente dai pareri dei precedenti, principalmente critica la loro comprensione per averla attribuita al significato dell’hadìth. Il giurisperito non necessita il mutamento della comprensione religiosa e non considera ogni comprensione, in se stessa, corretta e concordante con il significato inteso dal legislatore. Egli è convinto che il contesto della religione è stabile e ciò che hanno inteso Dio, il Profeta (S) e l’Imam (A) con il versetto e l’hadìth, è un determinato significato che il giurisperito è possibile raggiunga o no.
Se il giurisperito dicesse che la comprensione ottenuta oggi è il risultato del progresso della scienza e all’epoca della rivelazione del Corano questa comprensione non era accessibile a nessuno, certamente questa comprensione non avrebbe valore. Il segreto di questo discorso è il fatto che Iddio ha inviato queste regole per tutti gli esseri umani e li ha invitati a rispettarle. Non è che il destinatario di una regola del Corano sia solo la gente che verrà dopo mille anni, oppure che la gente di mille anni prima avesse un altro dovere e quindi Iddio con una frase ha manifestato più voleri religiosi da un’azione particolare[3], un volere il cui controllo sarebbe stato assegnato alla storia e al mutamento delle tradizioni, delle culture e delle comprensioni.
Il motivo per il quale, oggi, abbiamo maggior bisogno, rispetto al passato, della scienza degli “Usul”, è il fatto che noi ci siamo allontanati dal tempo della rivelazione del Corano e dell’emissione degli hadìth. La gente di allora, nell’atmosfera culturale del proprio tempo (che era anche l’epoca del legislatore) capiva ciò che in teoria doveva capire. Però, oggi, a causa della grande distanza temporale, del mutamento culturale e del cambiamento della lingua quotidiana, la comprensione veloce e facile tra il Legislatore e la gente (dovuta all’unicità del tempo, della lingua e della cultura tra l’interlocutore e il pubblico) è andata perdendosi. Quindi quando vogliamo capire i versetti e gli hadìth di circa mille anni fa, siamo costretti a basarci sulle chiavi generali per comprendere le parole (che non appartengono a un’epoca specifica), affinché in questo modo si dimostri che il significato che si comprende oggi è lo stesso che in teoria si capiva a quel tempo. Questa questione è la stessa che viene esposta nella discussione sulle parole nella scienza chiamata “Usul al-Fiqh”[4].
4. I versetti del Corano non sono riservati ai casi per i quali sono stati rivelati, anche se molti versetti sono stati rivelati in una determinata situazione e interessano una circostanza particolare, il giurisperito tuttavia li utilizza per rispondere ai propri quesiti e non li considera versetti estinti; poiché egli ha accettato che questi versetti non sono riservati a una circostanza specifica e ciò che è stato riportato in essi, se non è stato annullato, riguarda tutti i tempi e luoghi. In altre parole i versetti coranici e le regole riportate sono universali. La profondità e l’attenzione prestata a questo argomento hanno fatto in modo che fosse esposta la questione “stabilità e mutabilità” che nei discorsi dell’Imam Khomeini (ra) è stato trattato come il ruolo del tempo e del luogo nell’ijtihad.
Tuttavia il fatto del perché ci s’imbatte nella teoria della stabilità e della mutabilità, e in alcuni casi la regola teologica dell’universalità e stabilità delle regole, accetta eccezioni ed esistono regole che hanno solamente un fine circostanziale, è una questione che richiede maggiori spiegazioni. Superficialmente la risposta è che le regole mutabili e circostanziali in un certo senso derivano da quelle stabili e universali, poiché esse sono state varate in base a criteri stabili e particolari condizioni e caratteristiche.
La questione “stabilità e mutabilità” era presente anche nel pensiero dei giurisperiti passati che accettavano superficialmente le regole mutabili, però, poiché consideravano la maggior parte delle regole della religione stabili, nel proprio operato, quando si trovavano di fronte alle regole, non dubitavano se fossero stabili o mutabili e si basavano sul principio “Le regole religiose sono stabili tranne se viene dimostrato il contrario”.[5]
Fonti per approfondire l’argomento:
Hadavi Tehrani Mahdi, Mabani Kalami Ejtehad.
[1] Da questo hadìth si capisce che un versetto deve avere un significato giusto e uno sbagliato e il mujtahid che si sforza di capirne il significato, se comprende quello corretto avrà due ricompense, altrimenti solo una.
[2] Si evidenziano le regole religiose poiché alcuni sono convinti che nelle questioni esterne alla giurisprudenza e alle regole pratiche, per esempio nella spiegazione delle elevate conoscenze e dei profondi significati gnostico-filosofici e principalmente nell’ambito delle credenza, Dio utilizzava un linguaggio specifico e parlava ai propri servi in codice e con similitudini.
[3] Bisogna prestare attenzione al fatto che questo dibattito è estraneo alla questione del significato esoterico del Corano, poiché per prima cosa il significato esoterico del Corano, nella maggior parte dei casi, espone conoscenze al di fuori dei versetti giuridici; secondo, quei diversi significati - sia che siano uno la continuazione dell’altro o, se veramente possibile, uno divergente dall’altro - sono stati tutti voluti da Dio e non è così che un giorno vi sia un significato e un giorno un altro. Per questo motivo i pareri personali di alcuni gnostici su alcuni versetti che non sono documentati da alcuna prova religiosa, non possono essere considerati il significato esoterico voluto da Dio.
[4] Cfr. Sadr seyyed Muhammad Baqir, Al-mu'alim-u al-Jadidah, pp. 51-54.
[5] Hadavi Tehrani Mahdi, Mabani Kalami Ejtehad, pp. 33-41, Moasseseh-ye Farhanghi-ye Khane-ye Kherad, Qom, prima stampa, 1998.