Please Wait
6347
L’essere umano può ottenere la conoscenza di Iddio in vari modi, attraverso l’intelletto o attraverso il cuore: a volte, come il saggio e il filosofo conosce e argomenta attraverso la conoscenza acquisita e con l’aiuto dei sensi e dell’intelletto e, a volte, come lo gnostico, contempla il proprio Amato attraverso la conoscenza intuitiva. Per esempio, la presenza del fuoco, a volte la si deduce dalla presenza di fumo, a volte vedendo il fuoco stesso e a volte se parte del proprio corpo brucia.
In entrambi questi due metodi, cioè la conoscenza acquisita e quella intuitiva, a loro volta possono verificarsi tre casi: talvolta la via, il viaggiatore e la meta sono diverse l’una dall’altra, per esempio quando l’individuo, attraverso lo studio dei segni divini e l’ordine presente in essi, arriva a Iddio; a volte, invece, non è così, la via e il viaggiatore sono uno oppure altre volte la via e la meta sono una. Quando l’individuo, conoscendo se stesso, arriva a Dio, parliamo del secondo caso, e quando, riflettendo sui nomi e attributi divini, arriva a Iddio, si tratta del terzo tipo.
Tra questi casi, nel momento in cui la via e la meta siano una e l’essere umano contempla le conoscenze ottenute, ciò ha grande valore, poiché contempla e percepisce la meta. Queste tre vie sono state spiegate nei versetti e negli hadìth, ponendo particolare enfasi che niente è più chiaro dell’esistenza e della manifestazione divina e bisogna arrivare a Lui, attraverso di Lui. Egli è una luce che per essere compresa e vista, non ha bisogno di altro mezzo; e se non possiamo vederLo è perché il velo dell’inconsapevolezza si è steso sulla nostra conoscenza acquisita e intuitiva.
Noi non siamo coscienti della conoscenza e per ottenere questa sapienza composta, dobbiamo allontanare i veli dell’oscurità e della luce. È per questo che si dice che la conoscenza di Iddio è innata e le motivazioni riportate per provare la Sua esistenza e conoscenza sono vie per risvegliare e non per argomentare.
È necessario però prestare attenzione al fatto che la realtà dell’essenza divina e dei Suoi attributi non è né comprensibile al saggio né intuibile dallo gnostico, tutto il resto è sia comprensibile che intuibile.
Per rispondere a questa domanda, in principio, è necessario presentare i mezzi per conoscere, ovvero i sensi, l’intelletto e il cuore.
I sensi percepiscono solo gli accidenti e l’apparenza delle cose, senza penetrare nella loro profondità, e nonostante le molte e vaste conoscenze che donano all’essere umano, esse sono limitate nel tempo e nello spazio.
L’intelletto è una forza speciale, la cui attività principale consiste nel conoscere i concetti generali e, con questo significato, assume vari aspetti e ruoli. Una delle sue attività è l’argomentazione.
Ma i mezzi per conoscere non sono solo questi due, l’essere umano anche attraverso il cuore può arrivare a immense conoscenze e contemplare quello cui gli altri giungono con l’argomentazione: gli gnostici aspirano a conoscere Iddio in questo modo[1].
Da un altro punto di vista, la conoscenza può essere suddivisa in acquisita e intuitiva o presenziale.
La conoscenza acquisita si ottiene attraverso concetti mentali, in base ad argomentazioni razionali e filosofiche, mentre la conoscenza presenziale è una conoscenza senza l’intermediazione di concetti, la realtà dell’oggetto conosciuto è presente presso colui che la percepisce. La conoscenza presenziale è una delle conoscenze gnostiche e intuitive attraverso cui si contempla la realtà esterna della cosa.
Nella conoscenza acquisita (razionale) si può usufruire di premesse sensitive o empiriche, per esempio giungere alla conoscenza di Iddio attraverso un’argomentazione in base alla riflessione sui segni divini e l’ordine che domina il mondo. Però nei casi in cui l’essere umano voglia una conoscenza più approfondita dovrà valersi di premesse puramente razionali.
In ogni caso è necessario prestare attenzione al fatto che: prima di tutto, attraverso le ricerche di laboratorio e le scoperte puramente empiriche, non si può provare o negare Dio[2], infatti l’esperienza sensitiva dell’essere umano è ben lungi dal poter giungere al mondo metafisico. Quindi la mera conoscenza sensitiva non è proficua, ma può essere utilizzata solo nelle premesse delle argomentazioni.
In secondo luogo, benché le fonti islamiche raccomandino di riflettere sui segni esterni all’essere umano[3], ed essendo questo metodo argomentativo, viene considerato una conoscenza razionale, non bisogna tuttavia dimenticare che riflettere sulle creature, i segni della creazione e saggezza divina, dimostrano solo l’esistenza di un essere potente e saggio che gestisce il mondo, senza però provare che attributi possieda.
La conoscenza presenziale può essere di tre tipi: la conoscenza presenziale della causa rispetto alla conseguenza, la conoscenza presenziale di una cosa rispetto alla propria essenza, la conoscenza presenziale della conseguenza rispetto alla propria causa.
La conoscenza presenziale delle creature rispetto a Dio è del terzo tipo, l’essere umano è privato della percezione di Dio in misura della propria limitatezza; infatti nonostante Iddio sia vicino a tutto, ogni cosa, in base alla propria limitatezza, è a un livello diverso di vicinanza o lontananza da Dio.
Muhaqqiq Tusi riguardo ai vari livelli di conoscenza espone un esempio interessante: i livelli di conoscenza di Dio sono come i livelli di conoscenza del fuoco. Il livello più basso è sentire le caratteristiche del fuoco da altri, il secondo, conoscerlo vedendone il fumo, il terzo, percependone il calore e la luce, e l’ultimo, bruciarsi e incenerirsi nel fuoco[4].
È degno di nota che riguardo alla conoscenza, per quanto concerne ciò a cui la conoscenza si riferisce, a volte si parla di dimostrare l’esistenza di Iddio e a volte di conoscerne gli attributi, in entrambi i casi, l’essere umano può usufruire sia della mente che del cuore, sia della conoscenza acquisita per capire sia di quella presenziale per vedere. Il primo è un’argomentazione e il secondo gnosi, e certamente il primo non ha lo stesso valore del secondo.
In ogni caso, sia che uno usi la mente sia il cuore, si può raggiungere la conoscenza di Dio in tre modi, cioè la via del viaggiatore spirituale o del sapiente che seguono un percorso per raggiungere una meta, può essere di soli tre tipi:
1. Il viaggiatore, la via e la meta sono diverse l’una dall’altra. Per esempio quando l’individuo, attraverso lo studio dell’ordine presente nella creazione e la comprensione che tutti hanno bisogno di qualcosa e che il mondo ha un’origine, arriva alla meta (Dio); il Corano, infatti, invita la gente verso questa via[5].
2. Il viaggiatore è la via stessa, per esempio quando l’individuo, riflettendo su se stesso, si chiede chi è? Da dove proviene? Perché ciò che voglio non è nelle mie mani? Perché non posso controllare il mio cuore e i suoi ricordi se non con il mio permesso? Attraverso questa via giunge a Dio.
L’imam Alì (A) descrive così questa via: “Ho conosciuto Dio con l’indebolirsi dei voleri forti, lo sciogliersi dei nodi difficili e l’annientamento delle decisioni”[6] e “Chi conosce se stesso, conosce il proprio Signore”[7].
Nel Corano è riportato: “O voi che credete, preoccupatevi di voi stessi!”[8]. Questo metodo è più profondo e utile del primo.
3. La via è la meta stessa, cioè il viaggiatore, lo gnostico o il sapiente che sia, riflettendo sulla meta arriva a ciò cui voleva arrivare, questo è il metodo più profondo, poiché ha passato il livello del viaggio esteriore e interiore e concentrandosi sul segno assoluto, capisce che esso è Dio.
“Non ti basta che il tuo Signore sia testimone di ogni cosa?”[9], prima è Lui ad essere contemplato e conosciuto e poi gli altri e l’Universo, poiché Egli è la Luce dei cieli e della terra. Egli è la miglior prova della propria esistenza, giacché per conoscerLo non è necessario alcun mezzo[10]; perciò Egli dice al Suo Profeta (S): “Abbiamo tolto il velo da te”[11], non dalla realtà o da Me stesso.
L’imam Husayn (A) nella dua di Arafah cita questo terzo metodo, recitando:
“O Dio! C’è forse altro oltre Te che si manifesta e che dimostri la Tua esistenza? E Tu non abbia manifestazione da aver bisogno che quella cosa Ti dimostri? Sei forse mai stato assente da necessitare di una prova (della Tua esistenza)? Sei mai stato lontano da aver bisogno delle creature per avvicinarci a Te?”[12].
“Sia cieco l’occhio che non ti vede … o Dio, voglio da Te l’unione con Te e dalla Tua esistenza voglio una prova della Tua esistenza”.
Da quanto detto possiamo dedurre che per il viaggiatore spirituale, Dio è più chiaro dei cieli e della terra, l’imam Sadiq (A) riguardo a ciò disse: “Chi è presente, prima fa conoscere se stesso e poi le proprie caratteristiche, mentre invece ciò che è assente, prima se ne conoscono gli attributi, poi l’essenza stessa. Come quando i fratelli del profeta Giuseppe (a), riflettendo su di lui, domandarono: ‘Tu (come ti vediamo adesso) sei Giuseppe (che non sappiamo più che aspetto ha)?’, non affermarono che lui era Giuseppe, cioè rifletterono sull’interlocutore stesso, arrivando alla conclusione che egli era Giuseppe (a), non hanno chiesto agli altri le sue caratteristiche per poi dedurre che lui era Giuseppe (a)”[13].
Quindi si può argomentare che gli esseri accidentali sono il legame stesso all’essere necessario, altrimenti essi sarebbero indipendenti nella loro essenza e quindi necessari e ciò è ovviamente impossibile. Per questo motivo in tutta la loro esistenza essi dipendono dall’essenza dell’essere necessario ed è impossibile vedere il legame senza ciò a cui è legato, cioè la percezione indipendente della conseguenza è impossibile. Pertanto ogni cosa che si percepisce, anche se materiale, essendo il legame stesso con la fonte, la sua percezione è accompagnata dalla percezione dell’essere necessario[14].
La conoscenza è però di due tipi: semplice e composta, anche l’ignoranza si suddivide in questi due gruppi. La conoscenza semplice è la consapevolezza di qualcosa senza che si presti attenzione alla consapevolezza stessa. La conoscenza composta è invece quando si presta attenzione alla propria consapevolezza, cioè l’individuo sa di sapere.
Ora, noi sosteniamo che la conoscenza di Iddio è necessaria e sicura per qualsiasi individuo che sia in grado di percepire, sia che questa percezione sia acquisita o sia presenziale, indifferentemente da cosa sia percepito; cioè l’essere umano quando percepisce qualcosa, in modo acquisito o presenziale, ha necessariamente percepito anche l’essere necessario[15]. “Egli è conosciuto presso ogni ignorante”[16], pure l’individuo dubitatore, prima di prestare attenzione al proprio dubbio, vede Dio poiché Egli è la causa del suo dubbio e il suo dubbio è il legame stesso con Dio. Alcuni non conoscono la propria conoscenza e sono inconsapevoli di questa percezione necessaria e se l’imam Alì (A) disse: “Non ho visto niente senza prima aver contemplato Dio”[17], oppure: “Non adoro un Dio che non vedo”[18], è perché egli sa di sapere, egli ha compreso che “Ovunque vi volgiate, ivi è il Volto di Allah”[19]; non si può vedere il “volto” senza vederne il possessore. Egli è un 'arif che con la morte volontaria vede già che tutto ciò che è altro rispetto a Dio è celato, e solo il Creatore è manifesto, perciò egli disse: “Se si spostassero i veli [tra me e Dio], niente si aggiungerebbe alla mia certezza [della Sua esistenza]”[20].
Ciò che impedisce di capire e vedere viene chiamato “velo”, che può essere oscuro o luminoso. Per la presenza del velo oscuro che è quello materiale sono necessarie tre cose: colui che è impedito dal velo, la cosa che impedisce e ciò che il velo copre; mentre per il velo luminoso ne bastano due: colui che è impedito dal velo e ciò che il velo copre. In questo caso il velo si forma per la forte luminosità di quello che cela o, in altre parole, per la debolezza di colui che è impedito. Per esempio a volte l’essere umano non vede il sole perché c’è di mezzo un muro o della polvere e talvolta non lo vede perché la sua luce è troppo forte o la sua vista debole.
Tra Dio e le Sue creature non c’è altro velo se non le creature stesse[21]. Se l’essere umano riesce a spostare il velo oscuro dell’egocentrismo e della concupiscenza, deve poi cercare di spostare anche quello luminoso, per questo nella dua Sha'baniah, viene chiesto a Dio di strappare il velo luminoso[22], e solo il Profeta (S) e la sua Ahl al-Bayt (A) sono in grado di spostarlo completamente. Ovviamente, la realtà dell’essenza divina e dei suoi attributi rimane celata anche a loro[23], essi stessi sono veli luminosi per contemplarLo; poiché un essere contingente non può superare i propri limiti, pure loro possono vedere Dio limitatamente al proprio essere.
La conoscenza di ogni sapiente è perciò limitata dal proprio essere e dal proprio velo, l’imam Alì (A) in merito disse: “Gli intelletti non possono comprendere la Sua essenza e i Suoi attributi, anche se non c’è velo che possa impedire quella conoscenza sufficiente”[24], quindi da una parte tutte le creature sono segni di Dio, e, come uno specchio[25], hanno sì un vero aspetto, senza però essere separate dal possessore dell’immagine che rispecchiano, anzi non hanno alcun ruolo se non quello di manifestarLo, sebbene gli ignoranti Lo considerino un essere separato.
D’altra parte “non Lo percepiscono gli zeli lungimiranti e non Lo raggiungono la profonda riflessione degli individui intelligenti”[26] e la Sua essenza non è né comprensibile al saggio né visibile allo gnostico, quindi la conoscenza di Iddio è sempre accompagnata da una forma di incapacità[27] e ciò è dovuto al fatto che il rapporto tra la cosa sconosciuta (Iddio) e quella conosciuta (ciò che di Dio conosciamo) è un rapporto tra l’illimitato e il limitato.
In conclusione è necessario prestare attenzione al fatto che negli hadìth viene citata la conoscenza innata, che è del tipo della conoscenza presenziale, di cui si è parlato.
Gli assiomi innati dell’essere umano si suddividono in due gruppi:
a. Le conoscenze innate che ogni individuo possiede senza aver bisogno di impararle.
b. Le tendenze innate che sono un’esigenza della natura di ogni individuo.
Il primo è chiamato conoscenza innata di Dio e il secondo adorazione innata di Dio, che però, come abbiamo detto, non è una conoscenza consapevole da rendere la gente comune svincolata dallo sforzo razionale per conoscere Dio.
In ogni caso, essendo la conoscenza di Dio innata, le vie che si percorrono sono per risvegliare e non argomentare. Nel metodo argomentativo l’essere umano si rende conto di aver imparato qualcosa di nuovo, invece nel metodo che risveglia, quando l’essere umano arriva a destinazione si rende conto che essa era sempre presso di lui dall’inizio, è per questo che nel Corano e negli hadìth si parla dei veli dell’inconsapevolezza che si spostano, e la via che libera l’essere umano dall’inconsapevolezza è quella che risveglia e non quella argomentativa.
In questo articolo sono state utilizzate le seguenti fonti:
Ayatollah Javadi Amoli, Tahrir Tamhid al-Qawa'id, pp. 1-66 e 722-785.
Ayatollah Javadi Amoli, Rahiq Makhtum, seconda parte del primo vol., pp. 188, 189, 193 e 201 e terza parte del primo vol., pag. 534.
Ayatollah Javadi Amoli, Tafsir Mouzu'i, vol. 1, pp. 162-175.
Hosseynzade Mohammad, Mabani-e Ma'refat-e dini, pp. 36-44.
Allamah Tabatabai, Tafsir al-Mizan, vol. 6, pp. 86-105.
Allamah Mesbah, Amuzesh-e Aqa'ed, pp. 35-62.
Shahid Motahhari, Seyri dar Nahj al-Balaghah.
Ayatollah Hasanzade, “Qor'an, Erfan va Barhan az hamdigar jaday nadarand”, pp. 141-143.
[1] In realtà si può conoscere anche attraverso le fonti tramandate, di cui prima sia stata provata la validità e che la fonte siano gli Infallibili (A), e possono quindi essere utilizzate come criterio di valutazione della correttezza di ciò a cui sono arrivati l’intelletto e il cuore.
[2] Shaykh al-Saduq, al-Tawhid, pag. 293, capitolo "Ithbat huduth 'alam", primo hadìth.
[3] Sacro Corano 41:53.
[4] Citato in Liqa' Allah, Ayatollah Hasanzade, pp. 26-27 (citazione riassunta).
[5] Sacro Corano 20:50, 32:7, 87:3, 3:190.
[6] Nahj al-Balaghah, sentenza 250, trad. Mohammad Dashti.
[7] Sharh Ibn Abilhadid, vol. 20, pag. 29; Asrar al-Balaghah, pag. 88.
[8] Sacro Corano 5:105.
[9] Sacro Corano 41:53.
[10] Sacro Corano 14:10; 24:35.
[11] “Davvero trascuravi tutto ciò: [ora] abbiamo sollevato il tuo velo e quindi oggi la tua vista è acuta”, 50:22.
[12] Mafatih al-Jinan, pag. 496.
[13] Tuhaf al-'Uqul, Kalamihi fi wasf al-muhabbah, pag. 342.
[14] Asfar, vol. 1, pp. 113-120.
[15] “Nessuna creatura percepisce alcunché se non per mezzo di Dio e Dio non può essere conosciuto se non per mezzo di Se stesso”, Al-Tawhid, Sifat al-zat wa al-af'al, hadìth 7, pag. 143.
[16] “Lo conoscono tutti, benché ignoranti”, al-Tawhid, al-Tawhid wa nafi al-tashbih, hadìth 15, pag. 58.
[17] Asfar, vol. 1, pag. 117.
[18] Al-Kafi, vol. 1, capitolo “Ibtal al-ru'yah”, hadìth 6; al-Tawhid, capitolo “Ma ja'a fi al-ru'yah”, hadìth 6.
[19] Sacro Corano 2:115.
[20] Sharh Ibn Maytham 'ala al-Mi'at Kalimat lil Amir al-Mu'minin, prima frase.
[21] L’imam Kazim (A) disse: “Non c’è altro velo tra Dio l’Altissimo e le Sue creature se non le creature stesse” (al-Tawhid, capitolo “Fi nafi al-makan wa al-zaman wa al-harikah 'anhu ta'ala”, hadìth 12).
[22] “e illumina gli occhi dei nostri cuori con la luce del loro guardarTi affinché gli occhi dei cuori strappino i veli della luce, quindi raggiungano la fonte della magnificenza …”.
[23] “Allah vi mette in guardia da Se Stesso”, Sacro Corano 3:30.
[24] Nahj al-Balaghah, sermone 49.
[25] L’imam Ridha (A) in una discussione con 'Imran Sabi disse: “Né Lui è nelle creature né le creature in Lui, come uno specchio, né esso è in te né tu in esso. Lo specchio non è come il miraggio che ha un aspetto fasullo, ma non ha nemmeno altra realtà se non quella di manifestare il possessore di ciò che rispecchia”, Shaykh al-Saduq, al-Tawhid, pp. 434-435.
[26] Nahj al-Balaghah, sermone 1.
[27] "Non Ti abbiamo conosciuto come sarebbe Tuo diritto”, Bihar al-Anwar, vol. 71, pag. 23, primo hadìth; allo stesso modo “non Ti abbiamo adorato come sarebbe Tuo diritto”, Mir'at al-'Uqul, vol. 8, pag. 146.