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Per sapere se la sicurezza di sé e il ricorso sono antitetici o no, bisogna comprendere il significato di entrambi. La sicurezza di sé viene interpretata in due modi:
- Conoscere le abilità, le capacità e aggrapparsi agli averi per raggiungere i desideri, la realizzazione e l’identità reale.
Questo parere non è assolutamente contrario alla tradizione del ricorso; bensì in armonia con due principi chiave della religione: “la conoscenza di sé” e “la conoscenza dei doni e il loro utilizzo”.
- Essere sicuri di sé! Ovvero basarsi sui propri averi e conoscenze da considerare se stessi e i propri desideri la fonte di tutti i beni e successi.
Questo parere oltre a non essere in accordo con gli insegnamenti religiosi, è un miraggio nell’immaginazione! Questa biasimata sicurezza di sé non è altro che egocentrismo ed “essere certi di sé”. Il nobile Principe dei Credenti (A) riguardo a questa sicurezza di sé disse: “Chi è sicuro del proprio sé, ne sarà tradito”.
Il significato di tavakkul (ricorso) - Il termine tavakkul deriva dalla radice “wikalat” che significa scegliere un delegato. Inoltre per armonia tra la sicurezza di sé (secondo il primo parere succitato) e il ricorso s’intende che l’essere umano non provi inferiorità e debolezza di fronte ai problemi difficili, ma si consideri vincitore affidandosi al potere infinito di Dio, sì da tentare di risolvere i problemi e le difficoltà e dove non ci riesca si affidi a Dio; in altre parole facendo ricorso a Lui non smetta di sforzarsi; consideri altresì l’influenza divina quella principale anche nelle azioni che può compiere. Per un monoteista la fonte di tutte le forze è Lui e separare le influenze delle cause naturali dal Suo volere, è un tipo di associazione, perché tutto ciò che è insito nelle cause naturali deriva da Lui e dal Suo volere.
La seconda interpretazione, invece, è in disaccordo col ricorso; poiché le cause e le capacità sono state considerate indipendenti di fronte al volere divino; dal momento che l’affidamento a se stessi e altri all’infuori di Dio sono dei concetti opposti al ricorso a Dio.
Il grande Profeta (S) disse: “Chiesi a Gabriele: ‘Cos’è il ricorso?’. Rispose: ‘Sapere che una creatura non può far danno, né donare né ostacolare; non fare affidamento sull’aiuto e i beni della gente. Quando un servo di Dio diventa così non opererà se non per Dio e non riporrà la propria fiducia in altri che Lui. Tutte queste cose sono la realtà e i confini del ricorso’”.
Capire se la sicurezza di sé e il ricorso sono contrapposti, dipende dalla conoscenza di ambedue i significati, quindi in principio spiegheremo questi due concetti:
- Il significato di “sicurezza di sé”:
Per questo termine si possono considerare due significati:
1. Conoscenza delle abilità, capacità e affidamento agli averi per raggiungere i desideri, la realizzazione e l’identità reale.
Questo parere, non solo non è contrario alle norme religiose, ma è esattamente il volere di Dio e dei credenti; noi siamo responsabili di acquisire questa caratteristica, ché in caso contrario ci costerebbe la perdita di molte cose. Cose la cui perdita consisterebbe perlomeno nel fallimento nella vita e nel mancato ottenimento del compiacimento divino. Perciò questo concetto di “sicurezza di sé” lo consideriamo lodevole.
I motivi che influenzano la positività di questo primo parere sono vari:
a. Il fatto di sapere: Chi sono io? Che abilità ho? Quali sono i miei pregi e difetti? Che virtù risiedono in me? Quali sono le mie responsabilità? Quali sono i miei averi materiali e spirituali? Come e con che strategia posso sfruttare al meglio le ricchezze dell’esistenza e della mia vita? ecc., sono tutti riflessi di due concetti chiave “la conoscenza di sé” e “la conoscenza e l’utilizzo dei doni divini”! Questo credere in sé non è altro che prestare attenzione all’essenza superiore dell’essere umano e dei suoi nobili aspetti, attraverso la “conoscenza dei doni divini”. Non è che forse Iddio donando dei benefici all’essere umano, lo considera responsabile di questi e lo interrogherà al riguardo? Non si può adempire a questa responsabilità se non affidandosi a questi doni, essendo sicuri di sé, sfruttando le grazie ed essendo positivi.
Perciò il significato di “avere confidenza in sé” è: “Credere che anche io sono uno dei servi di quello stesso Dio e possiedo dei doni divini tramite i quali posso progredire; altrimenti mi renderei ingrato nei loro confronti”.
b. Il primo significato di “sicurezza di sé” rafforza l’indipendenza, l’autostima, e impedisce la dipendenza e la poca considerazione di sé . In altre parole la sicurezza di sé è l’accettazione cosciente e profittevole dei valori, delle risorse e dei simboli, di modo che con l’autostima umano-islamica si resiste alle insicurezze e alle tentazioni, tali da non essere esseri umani solo di nome.
Con la sicurezza di sé possiamo mettere ordine nella nostra mente e aggiustando i nostri pensieri raggiungere il successo in tutti i campi. Non è forse così che quando i colonialisti vogliono influenzare un popolo, prima gli fanno credere che non hanno niente, che la loro mentalità è retrograda, non sono moderni, non sanno ancora pensare in modo indipendente. È così che l’essere umano passa dal credere in sé al sottovalutarsi, al considerarsi meno di niente, ed è questa ammissione di povertà l’inizio della trasformazione del popolo, della cultura e della religione.
Uno psicoanalista afferma:
“L’autostima svolge un ruolo importante sia nei comportamenti razionali e normali che in quelli anormali, immorali e criminali degli individui. Secondo le ricerche effettuate l’autostima può prevenire, bilanciare o intensificare alcuni comportamenti umani[1]”.
L’imam Hadi (A) disse: “Non rimarrai al sicuro dal male di chi considera se stesso insignificante e all’interno prova un senso d’inferiorità verso di sé”[2].
La sicurezza di sé qui lodata è fonte di autostima i cui frutti saranno lo zelo e la capacità.
Il Profeta (S) disse: “Lo zelo sradica le montagne dal loro posto”[3].
c. Un'altra caratteristica positiva di questo significato di sicurezza di sé è la disposizione favorevole alla tradizione del ricorso.
2. Il secondo significato di sicurezza di sé consiste nell’essere sicuri solamente di se stessi! Ovvero affidarsi ai propri beni e conoscenze da considerare sé e i propri desideri la fonte di tutti i beni e successi.
Questo parere non solo non è in armonia con gli insegnamenti religiosi, ma è un miraggio nell’immaginazione. Sarebbe più opportuno chiamare questa “sicurezza di sé biasimevole” egocentrismo o “essere certi di sé”! Questa è la ragione delle sconfitte e a tale proposito il Principe dei Credenti, Alì (A), disse: “Chi è sicuro del proprio sé, ne sarà tradito”[4].
Perché questo secondo significato è biasimato? Di seguito riportiamo i motivi che rendono questo parere negativo:
1. Credere in ciò crea un’identità falsa e sbilancia l’equilibrio. Quando si crede che “basta che io lo voglia”, “è giusto ciò che considero giusto io, quindi devo mettere in atto il mio parere”, “non c’è nessun ostacolo di fronte a me”, ecc.; questo tipo di pensieri causano uno sbilanciamento dell’autostima ed è chiaro che il loro risultato sull’anima e sul modo di pensare non sarà altro che lo sbilanciamento nella formazione dell’identità reale.
In ogni caso bisogna conoscere i limiti e circoscriverne anche per le altre cause e realtà, mentre con tale sicurezza di sé non c’è più spazio per valutare realisticamente le proprie capacità. Il nobile Principe dei Credenti, Alì (A), disse: “Se volete la misericordia di Dio, riconoscete gli aspetti delle vostre capacità e i loro limiti, altrimenti supererete i vostri limiti calpestando la speranza nel progresso e nella misericordia”[5].
Per questo motivo l’Islam ha vietato all’essere umano di prestare attenzione in suddetto modo a se stessi, avvertendolo che in caso contrario, se non corregge questo stato dell’anima, s’imbatterà in due conseguenze negative, la superbia e l’autocompiacimento.
Oltre alle conseguenze negative della superbia, essa accompagna molti altri peccati capitali. Essa, insieme all’autostima esagerata, è una barriera che impedisce di vedere i propri difetti. È una sciagura che ostacola l’essere umano nel raggiungere tutte le perfezioni. Un altro difetto della superbia è che la sicurezza di sé e delle proprie azioni fa in modo che il povero uomo incolto consideri se stesso autonomo da Dio e non presti attenzione alla Sua grazia…”[6]
2. Credere di essere l’unico ad influenzare le proprie azioni, negando l’unicità di Dio nell’azione
In teologia è stato dimostrato che ogni essere, movimento e azione in questo mondo risale alla pura essenza di Dio. Egli è la causa e l’inizio di tutte le cause. Anche le azioni che compiamo, da un certo punto di vista, derivano da lui. Egli ci ha donato forza, libero arbitrio e volontà ma questo ruolo di regista da parte di Dio non mette in disparte l’uomo, poiché egli ci ha donato forza e libero arbitrio, ma allo stesso tempo noi siamo i soggetti delle nostre azioni. Nonostante la responsabilità delle nostre azioni, la soggettività di Dio non svanisce giacché tutto ciò che abbiamo deriva da Lui.[7] Questo egocentrismo vuol dire considerarsi il soggetto assoluto delle proprie azioni ed elevarsi al livello del volere assoluto e governo senza limiti di Dio!
- Il significato di tawakkul (ricorso)
La parola araba “tawakkul” deriva dalla radice “wikalat” che significa scegliere un delegato. Inoltre sappiamo che:
Primo. La scelta di un delegato nelle proprie questioni è necessaria qualora un individuo non sia in grado di compierle personalmente e quindi con l’aiuto di altri risolve i propri problemi.
Secondo. Un buon delegato è colui che possiede almeno quattro caratteristiche: informazioni sufficienti, affidabilità, forza e compassione.[8]
La prima interpretazione della sicurezza di sé (autoconoscenza e fiducia in se stessi utilizzando tutte le proprie abilità e risorse) non è contraria al ricorso, poiché (a parte gli aspetti totalmente religiosi come la conoscenza di sé e la conoscenza e l’utilizzo delle risorse a disposizione) fondamentalmente il ricorso vero e proprio ha la sua radice in questo significato di sicurezza di sé. Infatti, il significato di ricorso è che l’essere umano, di fronte alle difficoltà, non provi un senso di inferiorità e vulnerabilità, ma appoggiandosi alla potenza infinita di Dio, consideri se stesso vittorioso. Il ricorso assume quindi una connotazione di speranza, rinforzo e potenziamento, nonché fonte di persistenza e resistenza. Perciò fare ricorso a Dio non ha altro significato che l’essere umano, affidandosi a Dio, facendo ricorso e appoggiandosi a Lui, si sforzi di risolvere i problemi della vita, i nemici e i loro ostacoli, le difficoltà del proprio cammino e i suoi vicoli ciechi; di conseguenza considererà sempre Dio l’influenza principale, poiché per un monoteista, la fonte di tutte le forze è Lui.
E se qualcuno credesse che prestare attenzione al sistema causa-conseguenza naturale sia incompatibile con il fare ricorso, si sbaglierebbe di grosso; poiché separare gli effetti delle cause naturali dal volere di Dio viene considerato un tipo di associazione! Anche le cause naturali, e tutto quello che possiedono, appartengono a Lui e sono condizionate dal Suo volere. Certamente, se consideriamo le cause e le capacità indipendenti dal Suo volere, in questo caso non saranno compatibili con il ricorso.[9]
In conclusione “credere in se stessi”, sfruttando le risorse e i beni a disposizione, senza avvilirsi, è in armonia con il fare ricorso! Non potrebbe essere altrimenti dato che anche il Profeta (S) era il primo a ricorrere a Dio senza peraltro trascurare nessuna occasione, piano preciso, tattica positiva e utilizzando gli strumenti e i mezzi esteriori; inoltre incitava i credenti dicendo: “Voi potete e siete migliori”[10].
Rispetto al fatto di come la seconda interpretazione della “sicurezza di sé” sia contraria al ricorso bisogna dire che: l’opposto di fare ricorso a Dio è l’appoggio ad altri all’infuori di Lui; ovvero vivere appoggiandosi e dipendendo da altri, perdendo la propria indipendenza. Al contrario il ricorso a Dio salva l’uomo dalle dipendenze che sono causa di meschinità e schiavitù, donandogli libertà e sicurezza di sé. È stato tramandato che il Profeta (S) disse: “Ho chiesto a Gabriele: ‘Cos’è il ricorso?’. Rispose: ’Sapere che una creatura non può far danno, né donare né ostacolare; non fare affidamento sull’aiuto e i beni della gente. Quando un servo di Dio diventa così, non opererà se non per Dio e non riporrà la propria fiducia in altri che Lui. Tutte queste cose sono la realtà e i confini del ricorso’”[11].
Fonti:
1. Imam Khomeini (ra), Cehel Hadìth (40 Hadìth), interpretazione dell’hadìth 3 ('ojb), 4 (kebr), 10 (hava-ye nafs), 13 (tavakkol) e 20 (ekhlas).
2. Nejati Mohammad, Qor'an va ravanshenasi, traduzione di Abbas Arab, Nashr-e ostan-e Qods-e Razavi (A), capitolo 9 (Shakhsiat dar Qor'an), pag. 287.
3. Sharqavi Hasan, Gami farasu-ye ravanshenasi-e eslami, traduzione di Seyyed Mohammad Baqer Hojjati, Nashr-e farhangh-e eslami, terza parte: Rah-e vosul be salamat-e nafsani va behdasht-e ravani, capitoli 1, 4 e 13 della quarta parte: Be khedmat ghereftan-e ravanshenasi dar zamineha-ye gunaguni, pp. 397-528.
[1] Mirzabeyghi Alì, Naqsh-e niazha-ye ravani, pag. 33.
[2] Erfan Hasan, Faslname-ye Hadith zendeghi, vije-ye e’temad be nafs, articolo a pag. 7.
[3] Musnad al-Shahhab, vol.1 , pag. 378.
[4] Ghurar al-Hikam, vol. 5, pag. 161.
[5] Allamah Majlesi, Bihar al-Anwar, vol. 66, pag. 79; Bahrani Alì ibn Maytham, Sharh Mi'at Kalimah, pag. 59.
[6] Imam Khomeini, Sharh-e Cehel Hadìth, pag. 69, terzo hadìth.
[7] Makarem Shirazi Naser, Payam-e Qor'an, vol. 3, pag. 274.
[8] Makarem Shirazi Naser, Tafsir-e Nemune, vol. 10, pag. 205 (con alcune modifiche).
[9] Ivi, pag. 297(con alcune modifiche).
[10] Ibidem.
[11] Ivi, pag. 298; Bihar al-Anwar, vol. 71, pag. 137, hadìth 23; Ma'ani al-Akhbar, pag. 461.